sabato 11 maggio 2013

Tutti in piedi per "Sir" Alex, condottiero mancuniano che ha segnato un'epoca

"Sir"Alex Ferguson

Fermi tutti. Sir Alex si congeda. Uno dei personaggi più illustri della storia del calcio inglese e non solo, al termine di una carriera densa di soddisfazioni decide di andare in pensione. 

 Leggenda vivente del Manchester United - club che gli ha anche dedicato una statua, edificata proprio in quel teatro dei sogni, l’Old Trafford, sua seconda casa – l’allenatore scozzese, nato in quel di Glasgow nel 1941, dopo 27 anni in prima linea sempre sulla stessa panchina, record assoluto, lascia la guida dei Red Devils al netto di 38 trofei raggiunti, fra i quali spiccano senza dubbio le due Champions League, arrivando all’apice del trionfo nella stagione 1998-1999 anno della conquista del “treble”, ovvero vittoria in Campionato, Coppa nazionale e Champions League. Ancor più dei suoi trofei, ciò che rimane impresso nelle menti più accorte, è la maniera in cui sono maturate gran parte delle affermazioni dei diavoli rossi: Basti pensare al rocambolesco trionfo nella finale di Barcellona contro il Bayern per comprendere fino in fondo i crismi del personaggio Ferguson. Quanto più la squadra fosse vicino al baratro, tanto più emergeva la fermezza, il coraggio, la determinazione, la voglia di non arrendersi del demiurgo di Manchester: in tal senso i due gol realizzati nei minuti di recupero della finale di Coppa dei Campioni costituiscono l’emblema dell’emanazione ideologica di questo grande simbolo e condottiero, che aveva nei suoi 11 in campo una propaggine delle proprie qualità, della propria concezione di pensiero, nel calcio come nella vita. Infondere in tutti i calciatori avuti a disposizione nel tempo, un’atavica sete di vittoria unita all’umiltà di non sentirsi mai arrivati ed anzi lavorare sodo per migliorarsi ancora, è stato senza dubbio il suo più grande merito, in un elenco sterminato di finissime qualità. 


Il Dna che oggi contraddistingue lo United si condensa nella personalità e nell’aurea divina di Sir Alex Ferguson - pigmalione di una cultura – in grado di trasformare in 27 anni, il Manchester United da un buon club al migliore d’Inghilterra e per larghi tratti anche del mondo. La sua figura ha rivoluzionato il modo di concepire il ruolo dell’allenatore, avverando la chimera del management totale e di lungo, lunghissimo corso. 


IL SELEZIONATORE FERGUSON - Da un grande potere derivano grandi responsabilità alle quali il signore di Glasgow ha saputo assolvere pienamente: consulente di mercato, supervisore delle giovanili, grande comunicatore negli spogliatoi e con i media, infine ottimo allenatore. Uomo carismatico oltre che preparato, il segreto dei suoi successi risiede nell’attitudine alla trasmissione di tutti quei valori, non ultima la mentalità operaia, indotti nella multi variegata pletora di calciatori che si sono alternati nel corso dei tempi nel vestire la casacca dei Red Devils. Dal 6 Novembre 1986, data del suo insediamento sulla panchina del Manchester United, ad Old Trafford si sono avvicendati moltissimi campioni assemblati ad altrettanti gregari. Nella stessa squadra di Rooney giocava Park Ji Sung, vicino a Ferdinand giostrava O’Shea, Fletcher come spalla di Scholes. Tutti elementi selezionati personalmente da Ferguson, che hanno contribuito – fattore singolare – in egual maniera, agli innumerevoli successi raggiunti. La costruzione di un collettivo sopra ogni cosa, un gruppo nel quale il senso di appartenenza svolge un ruolo predominante, dove la puntualità dei compiti e la sincronia di movimenti trasfigura un corpo solo, in grado di adombrare, qualora fossero sussistite, le lacune individuali di alcuni interpreti. Molto spesso si è arrivati a pensare che non fossero certi calciatori a far grande il Manchester ma l’ambiente United a rendere grandissimi alcuni calciatori. Nel proseguo della propria carriera alcuni di essi, (Beckham compreso) non si sono confermati sui livelli espressi in maglia rossa. E’ il caso dei Calipso Boys Yorke e Cole perno principale del Manchester campione d’Europa: una coppia d’attacco perfetta, le cui caratteristiche venivano a dir poco esaltate nel sistema di gioco modellato dal tecnico scozzese, fedele sempre al 4-4-2 con l’apporto di qualche evoluzione per stare al passo con i tempi. Questi, una volta migrati altrove, hanno dimostrato di non possedere un valore assoluto così importante da fare la differenza, attestandosi come calciatori normalissimi. 


LA VECCHIA GUARDIA - Ovviamente a fare le fortune del Manchester ha concorso anche la scelta di elementi fuori dalla media, accuratamente scelti da Ferguson in prima persona il quale, con le sue intuizioni, è riuscito a portare nella grigia città britannica personaggi del calibro di Ryan Giggs: “Mi ricordo ancora la prima volta che lo vidi. Aveva 13 anni e galleggiava sul terreno come un cocker in cerca di un pezzo di carta argentata nel vento”. Ferguson lo volle in squadra quando aveva appena 14 anni e lo accolse in casa propria dopo esserlo andato a prelevare in Galles. Insieme iniziarono a costruire i successi dello United tanto che Giggs può vantare il medesimo palmares del suo allenatore. Alla formidabile ala gallese il tecnico scozzese ha affiancato altri grandi calciatori come Paul Scholes - richiamato addirittura l’anno scorso dopo il ritiro, perché c’era bisogno di lui in campo – Phil Neville ed il fratello Gary del quale disse: “Se fosse stato un centimetro più alto sarebbe stato il miglior centrale del Regno Unito. Suo padre è alto 1m88. Mi piacerebbe controllare il lattaio“, Ole-Gunnar Solskjaer, autore del gol nella finale contro il Bayern, abituato sempre a subentrare dalla panchina, Roy Keane e tanti altri ancora: campioni nella testa prima ancora che nei piedi, sempre portati a dare il massimo in allenamento come in partita, profondendo grandissima intensità per tutto l’arco dei 90 minuti perché il messaggio è abbastanza chiaro per tutti: a Manchester non si arriva mai secondi sul pallone. 


IL CARISMA - A questo mantra non sono sfuggiti neanche l’intemperante Cantona, il folle Nani ed i belli e bravi Ronaldo e Beckham ,calciatori particolarmente dotati sul lato tecnico oltre che dall’impatto mediatico alquanto rilevante. Il loro carattere è stato mitigato e contenuto dall’aurea tangibile del tecnico scozzese, abile nell’instillare anche nei calciatori di maggiore qualità la disponibilità al sacrificio, l’apporto quantitativo alla manovra: corsa, sudore e grinta, individuate dall’allenatore di Glasgow come quelle caratteristiche fondamentali per fare la differenza perché non si vincono 38 trofei soltanto in virtù di un tasso tecnico maggiore ma in campo è necessario mettere sempre quel qualcosa in più senza risparmiarsi mai se si vuol giocare a Manchester. 


Un allenatore stimatissimo ed apprezzato da tutti i suoi calciatori, in grado di farti lavorare sodo fino a far sputare sangue ma soprattutto di ricompensare i duri sforzi richiesti di giorno in giorno con il raggiungimento quasi puntuale dei massimi traguardi. Saper gestire l’estro e la sregolatezza di Eric Cantona del resto, non è dote comune. Ferguson non soltanto ha guadagnato il rispetto dell’estemporaneo calciatore transalpino ma ha anche ricavato il massimo dall’espressione del suo talento. Tornando a Cristiano Ronaldo, l’ambizioso figlio al prodigo portoghese dopo aver chiesto ed ottenuto la cessione al Real Madrid - a testimonianza di un altro assioma che vuole tutti utili a Manchester ma nessuno al di sopra del gruppo e della causa – non è riuscito ad ottenere i risultati di squadra raggiunti con i Red Devils che invece hanno continuato a vincere anche senza di lui. Il numero 7 lusitano, plasmato da Ferguson fin dalla giovane età quando giunse non ancora maggiorenne a Manchester per poi vincere qualche anno più tardi il pallone d’oro, non ha mai fatto mistero di sentire la mancanza del tecnico scozzese, considerato un secondo padre. Oggi, se potesse, farebbe carte false per tornare all’ovile. 


RAPPORTO CON BECKHAM - Per quanto riguarda lo Space Boy, anche lui salpato verso i più ammalianti lidi madrileni, con scarso successo, l’aneddoto principale risale senza dubbio alla sconfitta in FA Cup contro l’Arsenal, quando un inferocito Ferguson calciando uno scarpino lo colpi al sopracciglio destro, causando al biondo calciatore una ferita suturata con tre punti. ”E’ stato solo un incidente. Se ci avessi provato 100 o un milione di volte non sarebbe mai potuto succedere ancora. Forse avrei dovuto continuare a giocare”. Non molti sanno però della furia riversata dall’allenatore scozzese sull’ex capitano dell’Inghilterra quando questi saltò un allenamento per assistere il figlio Brooklyn mentre sua moglie era alla settimana della moda di Londra. Un’assenza che costò a Beckham, l’esclusione dalla seguente partita di campionato. Una perenne insoddisfazione per la sconfitta, la gran voglia di essere sempre in competizione, mai domo nè tanto meno sazio, una dottrina propria di chi ha gli attributi per essere considerato il Manager di maggior successo nella storia del calcio inglese, innalzando la sua figura sull’Olimpo dei personaggi più influenti nell’universo calcistico, qualcosa di inarrivabile ed inimmaginabile, senza precedenti. Questo è Ferguson.


 Ora l’ultima battaglia del 71 enne che ha rappresentato un’epoca, sarà nella gara contro il West Bromwich Albion nella quale si siederà in panchina per la millecinquecentesima volta in rappresentanza dei Red Devils. Scherzo del destino Albione è l’antico nome della Gran Bretagna usato in maniera retorica in riferimento a tutto il Regno Unito. L’etimo della parola è riconducibile al linguaggio gaelico Albio, con cui nei tempi antichi veniva chiamata la Scozia (Alba), sua terra natia. Già Alba, perché per lui non si tratta di tramonto, dopo tutte queste battaglie – nella maggior parte delle quali il condottiero mancuniano ha gustato l’ambrato e dolce calice della vittoria – giungerà il riposo di un guerriero che legherà la sua immagine ancora più inestricabilmente al club d’appartenenza, divenendone l’ambasciatore per il mondo. Dopo 1500 battaglie, vissute tutte con la massima intensità, è giunto il momento per lui di farsi da parte per entrare nell’eternità. 


Il nome di Sir Alex e con esso le epiche gesta, resteranno indelebili nella storia sportiva consegnando all’immortalità il glorioso condottiero. Un vuoto incolmabile affligge i cuori di tutti gli amanti di questo sport e più in generale di quei valori sani che lo sport trasmette. Il sentimento comune è espresso in poche parole, le stesse pronunciate a caldo da Ferguson quel mercoledi 26 maggio 1999: “Non ci credo, non ci credo. Il Calcio. Sia dannato”


A cura di Danilo Sancamillo 

Twitter: @DSancamillo

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